Eccoci, manca poco a Natale, volevo scrivere un post leggero e farvi auguri altrettanto leggeri...
Poi, a pensarci bene, non ci sono riuscita.
E non ho potuto nemmeno regalarvi una ricetta alla fine di quanto ho scritto, perchè -scusatemi- non voglio togliere peso alle parole, non voglio che pensiate, Ok, ora veniamo alle cose buone...
A novembre sono successi molti fatti di cronaca -alcuni gravissimi- che mi hanno fatto molto riflettere.
Primi su tutti, gli attentati di Parigi.
Poi la morte di Moira Orfei.
Per ultimo ho visto circolare la foto di un ragazzino-torero di 8-10 anni in un'arena che da le spalle ad un toro ferito.
Penso che tutto parta dall'educazione e dalla cultura.
Non tollero molto i discorsi razzisti che ho sentito ovunque, non tollero l'incoerenza e l'ignoranza. Sopporto male anche i pecoroni, le frasi fatte, i luoghi comuni, le parole ripetute a pappagallo ma pensate (poco) da altri, la tv e i suoi talk-show.
So poco, molto poco, di politica, tanto meno di politica internazionale.
Invece là fuori tutti grandi esperti, tutti che sottoscrivono frasi della Fallaci, tutti a sentenziare.
Ora, piango per i morti, tutti.
Quelli di Parigi e quelli di Beirut, per i morti in Siria e in Russia, e anche per quelli che sono morti in Africa prima di questi e tuttora muoiono; piango, perché tutti avevano genitori, figli, fratelli, amici; tutti i morti avevano una vita, qualcuno di sicuro aveva dei sogni e dei progetti che non potranno più realizzare; piango perché i morti sono tutti uguali, perché togliere la vita è un atto atroce, un peccato mortale, un gesto senza ritorno, ineluttabile.
E poi piango perché qualcuno ha chiesto la morte di chi ha portato morte, credendo così di insegnare qualcosa, di ottenere una rivincita, di dare una lezione.
E questa richiesta di vendetta è indiscriminata, non fa distinzioni, è cieca.
Che avessero il coraggio, queste persone, di alzare la loro mano armata di fronte ad un altro uomo o un bambino e prendersi la responsabilità di un atto senza ritorno, colpevole senza attenuanti, come l'uccidere un altro essere vivente.
Invece invocano l'esercito e lo Stato e le bombe perché qualcuno faccia ordine e pulizia per loro.
E questo mi fa poco ben sperare per gli animali, che allo stesso modo vengono quotidianamente allevati ed uccisi, ma lontano dagli occhi e dal cuore di chi poi se ne ciba.
Che valore ha la vita di una animale se non ha nessun valore quella di un uomo?
Per questo credo che tutto parta dall'educazione.
Empatia, rispetto, coerenza.
Insegnamo più ai nostri figli valori simili? Direi di no.
Insegnamo invece la paura e l'egoismo, che il giusto lo puoi adattare alle tue esigenze, che il bene ha due pesi e due misure, che ci sono vite che hanno più valore e altre che ne hanno meno o non ne hanno affatto.
Insegnamo che se le cose sono scomode o brutte si può guardare altrove, distogliere lo sguardo, delegare.
Moira Orfei ha creato un grande business sfruttando gli animali.
Ha detto cose atroci sulle bestie con serena disinvoltura; ha importato, torturato e maltrattato centinaia di elefanti, tigri, foche e cavalli nella convinzione che fossero esseri inferiori e che fosse giusto sottometterli con ogni mezzo per ottenere obbedienza.
Ma da cosa nasce questo suo pensiero?
Dall'educazione ricevuta, perché prima di lei genitori e nonni facevano lo stesso. E ci hanno costruito un impero.
Poche menti illuminate avrebbero saputo, al suo posto, comprendere che tutto ciò in cui le persone a loro più care tenevano, credevano ed insegnavano da generazioni, fossero sbagliate, aberranti, lontane dal vero bene e dalla Natura a cui apparteniamo.
Per cui non è giustificabile, Moira, ma è comprensibile.
A poco serve rallegrasi per la sua morte, perché dopo di lei altre generazioni sono state allevate nello stesso spirito, dove non c'è spazio per empatia e rispetto per gli altri esseri viventi.
E questo mi riporta alla foto, -agghiacciante ai miei occhi- del bimbo torero.
Perché in Spagna esistono scuole dove si insegna fin da piccoli ad uccidere tori in un'arena.
È una tradizione e c'è chi continua a perpetrarla.
Ha colpa quel bambino a cui insegnano che è giusto così, a non tremare di fronte al sangue, perché la vita di un toro non ha valore, ma il valore semmai viene dalla sua morte?
Ha senso condannare un giorno l'adulto che sarà perché, senza scrupoli, infilzerà animali fino allo stremo, senza pietà, senza sentire un filo di tenerezza?
Se esistono i toreri sono dunque tutti colpevoli gli Spagnoli?
Ecco, allora io voglio crescere mia figlia diversamente, voglio che capisca che la vita ha un valore, quella degli uomini e quella degli animali, tutti, senza distinzione.
Non ci sono categorie, non c'è una serie A e una serie B, non amiamo i cani e i gatti e facciamo uccidere da altri, per gola, vitelli, maiali e cervi; non amiamo profondamente i nostri amici e poi chiediamo con cinismo la testa di chi vive a 100 mila chilometri di distanza perché è arabo o nero o mussulmano e qualcuno ci spinge a pensare che siano la causa di tutte le guerre.
La guerra è un grande business.
Non chiediamo la pace, non speriamo che le guerre finiscano.
Non succederà.
Come non chiuderanno tutti gli allevamenti e i macelli.
Ma possiamo sempre scegliere, senza seguire il flusso, la tradizione, il pensiero dominante.
Non cediamo all'odio indiscriminato, non rinunciamo alla coscienza, non smettiamo di tenere gli occhi aperti e il cuore vigile.
Creiamo pace intorno a noi, educando al rispetto, alla non-violenza e all'amore i nostri bambini.